We Apologise

Maurizio Coccia (2025)

(exhibition text for Franko B: I Apologise - Palazzo Lucarini Contemporary, Trevi (2025))

In an old interview, discussing Michael Heizer's intervention at the legendary exhibition When Attitudes Become Form, Harald Szeemann said something that got me thinking. It went something like this: "If an artist asks me to make a hole in the asphalt, I'll make him make one."

By now, everything is known about that exhibition and the controversies that followed. Heizer's work was among the most controversial. But no matter. There was something more intolerable, for the public opinion of the time, than a series of "transgressive" objects; two unacceptable things: that art might not even produce beauty; and that precariousness and transience became a value to be contrasted with the solidity and permanence of traditional artistic categories. Yes, I think the real stumbling block was the definitive breakdown of the boundary between art and life.

More than half a century has passed since that exhibition, yet I am confronted with that double prejudice almost every day. Not only in non-artistic circles, but also in specialist and academic circles. I believe it's something deeply rooted in our culture, imbued with idealism and transcendence.

Franko B's entire practice, however, is unthinkable outside of the art/life equation. And not just in autobiographical terms. The tensions of our time, in fact, are the raw material of his works. Not current events as such. It's the archaic, persistent structures of the human species that lurk within them that drive him: abuse, violence, gratuitous cruelty. Or, on a more sophisticated level, the hypocrisy of false ideologies and certain political views.

But if current events motivate him, it's Franko B's personal experiences that suggest his modes of expression. They are often disturbing depictions. Sometimes shocking images that, in addition to narrating a personal story, illustrate a collective imagination—war, politics, sexuality—that is doubly frightening. Firstly, for what they represent. But above all, because they unmask our ineptitude. We are ready to accept them if broadcast by the media, but we protest and are scandalized if they are exhibited.

Let's return to Szeemann. I admit with great humility that I was influenced by the existential nature of his approach to curating. All things considered, I too see my role as that of an interpreter of the artist's obsessions and visions, and I am committed to realizing them, even if that means "digging a hole in the asphalt." This is undoubtedly a radical attitude. An almost total availability to creativity—understood as an act of free transformation of reality—which expresses the vital and poetic tension of the work.

So, I think of this exhibition as an all-encompassing event, a mental laboratory before a physical one. A seething melting pot where personal obsessions, ancestral fears, and the collective dimension merge. An experience that engages body, space, and time, transforming enjoyment into an act of vital and shared participation.

Life does not give discounts. It is irremediable. So, if Franko B.'s art directly emanates from this, it's no longer a question of good taste or morality. His works can be atrocious and genuine, even unbearably so. Or grotesque, like certain natural disasters. Or, again, inevitable and sincere, as only life, on certain painful and definitive occasions, can be.

Well, in exhibiting them at Palazzo Lucarini, Franko and I are complicit. We couldn't have done otherwise. And, even if we know it's pointless, we apologize.

We Apologise

Maurizio coccia (2025)

In una vecchia intervista, parlando dell’intervento di Michael Heizer alla leggendaria mostra When Attitudes Become Form, Harald Szeemann disse una cosa che mi fece molto riflettere. Più o meno, suonava così: “Se un artista mi chiede di fare un buco nell’asfalto, io glielo faccio fare.”

Ormai si sa tutto di quella mostra e delle polemiche che seguirono. L’opera di Heizer fu tra le più contestate. Ma non importa. C’era qualcosa di più intollerabile, per l’opinione pubblica del tempo, che non una serie di oggetti “trasgressivi”; due cose inaccettabili: che l’arte potesse anche non produrre bellezza; che la precarietà, la transitorietà diventassero un valore da contrapporre alla solidità e durata delle categorie artistiche tradizionali. Sì, penso che la vera pietra dello scandalo fosse la definitiva rottura del confine tra arte e vita.

È passato oltre mezzo secolo, da quella mostra, eppure mi confronto quasi ogni giorno con quel doppio pregiudizio. Non solo negli ambienti extra-artistici, ma anche in ambito specialistico e accademico. Credo che sia qualcosa di profondamente radicato nella nostra cultura, imbevuta di idealismo e trascendenza.

Tutta la pratica di Franko B, invece, è impensabile fuori dall’identificazione arte/vita. Non solo in termini autobiografici. Le tensioni del nostro tempo, infatti, sono la materia grezza delle sue opere. Non l’attualità in quanto tale. Si tratta delle strutture arcaiche, persistenti della specie umana, che vi si nascondono, a stimolarlo: sopruso, violenza, crudeltà gratuita. O, a un livello più sofisticato, l’ipocrisia delle false ideologie e di certa politica.

Ma se è la cronaca a motivarlo, sono le vicende personali di Franko B a suggerire le modalità espressive. Sono spesso raffigurazioni disturbanti. Immagini a volte sconvolgenti che, oltre a narrare una storia personale, illustrano un immaginario collettivo - bellico, politico, sessuale - doppiamente spaventoso. Intanto per ciò che rappresentano. Ma sopratutto perché smascherano la nostra assuefazione. Siamo pronti ad accettarle, se trasmesse dai media, ma protestiamo e ci scandalizziamo se esposte in mostra.

Torniamo a Szeemann. Ammetto con estrema umiltà di essere stato influenzato dal carattere esistenziale del suo approccio alla curatela. Fatte le debite proporzioni, anch’io vedo il mio ruolo come quello di un interprete delle fissazioni e visioni dell’artista, e m’impegno a realizzarle, anche se ciò significa “scavare un buco nell’asfalto”. Un atteggiamento senz’altro radicale. Una disponibilità pressoché totale alla creatività - intesa come atto di libera trasformazione del reale - nella quale si esprime la tensione vitale e poetica dell’opera.

Ecco, penso questa mostra come un evento totalizzante, un laboratorio mentale prima che fisico. Un ribollente crogiolo dove si fondono ossessioni personali, paure ancestrali, dimensione collettiva. Un’esperienza che coinvolge corpo, spazio e tempo, trasformando la fruizione in un atto di partecipazione vitale e condivisa.

La vita non fa sconti. È irrimediabile. Allora, se l’arte di Franko B ne promana direttamente, non è più questione di buon gusto né di morale. Le opere possono essere atroci e genuine in maniera anche insopportabile. O grottesche come certe catastrofi naturali. Oppure, ancora, inevitabili e sincere come solo la vita, in alcune, dolorose e definitive occasioni sa essere.

Bene, nel metterete in mostra a Palazzo Lucarini io e Franko siamo complici. Non potevamo che farlo in questo modo. E, anche se sappiamo non serve a niente, vi chiediamo scusa.



exhibition:

  • • I Apologise

    Palazzo Lucarini Contemporary, Trevi (2025)



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